FINANZIAMENTO SOCI: LA RITENUTA SCATTA IN AUTOMATICO

Va operata sugli interessi iscritti in bilancio, indipendentemente dalla loro effettiva erogazione.
La società deve operare la ritenuta alla fonte sugli interessi passivi maturati sui finanziamenti a essa erogati da parte dei soci, indipendentemente dal loro effettivo pagamento. Così si è pronunciata la sezione tributaria della Corte di cassazione, con la sentenza n. 8747 del 4 aprile 2008 uniformandosi, così, a precedenti interventi della stessa Suprema corte, in cui era stato, tra l'altro, evidenziato come, una volta dimostrato che le somme conferite alla società non sono apportate a incremento del capitale, scatti la presunzione, salvo prova contraria a carico del contribuente, che i finanziamenti sono produttivi di interessi.
La vicenda
La controversia trae origine da un avviso di accertamento, con il quale veniva contestato a una società il mancato assoggettamento a ritenuta degli interessi passivi dovuti ai propri soci per i finanziamenti erogati da questi ultimi. In particolare, l'accertamento veniva motivato sul presupposto che la semplice iscrizione in bilancio per competenza degli interessi passivi equivaleva alla "corresponsione" di cui all'articolo 26 del Dpr 600/1973.
Prima di analizzare le argomentazioni contenute nella sentenza in commento, appare opportuno delineare, seppur brevemente, il quadro normativo di riferimento.
L'articolo 43 del Tuir (corrispondente all'articolo 46 nella versione in vigore dal 1° gennaio 2004), dispone al comma 1 che "Le somme versate alle società commerciali…dai loro soci…si considerano date a mutuo se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo".
Inoltre, l'articolo 26 del Dpr 600/1973 dispone all'ultimo comma che "I soggetti…operano una ritenuta…sui redditi di capitale da essi corrisposti".
Sulla base delle disposizioni in argomento, si sono creati diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali a proposito dell'obbligo di effettuare la ritenuta sugli interessi maturati sui finanziamenti effettuati alla società da parte dei soci, indipendentemente dalla loro effettiva erogazione.
La sentenza 8747/2008, riprendendo alcune precedenti pronunce della Corte di cassazione sull'argomento, statuisce che, una volta accertato che le somme conferite dai soci alla società non sono da considerarsi apportate in conto incremento di capitale, la ritenuta va operata dalla società sugli interessi iscritti in bilancio, indipendentemente dalla effettiva erogazione ai soci.
Come detto, la pronuncia va a uniformarsi ad alcuni precedenti della Suprema corte, in particolare alle sentenze 14573/2001, 6257/2001 e 2947/1996.
In particolare, la sentenza 14573/2001 evidenzia come, una volta dimostrato che le somme conferite alla società non sono state apportate a incremento del capitale, scatti la presunzione, salvo prova contraria che incombe sul contribuente, che i finanziamenti sono produttivi di interessi. In tal caso, la società è obbligata a effettuare la ritenuta sugli interessi maturati, considerato che il termine "corrisposti" di cui all'articolo 26 del Dpr 600/1973 si riferisce anche alla semplice contabilizzazione di tali costi tra i componenti negativi del reddito d'impresa.
Più incisive e ricche di argomentazioni appaiono le sentenze 2947/1996 e 6257/2001.
La prima pronuncia, in particolare, si segnala per aver dato una interpretazione di carattere logico-sistematico al termine "corresponsione", basata proprio sulle disposizioni di carattere sostanziale contenute nel Tuir che presumono la fruttuosità dei conferimenti effettuati dai soci.
Più esattamente, secondo i giudici di legittimità, con tale termine il legislatore "non ha certo inteso fare riferimento alla materiale corresponsione dei redditi di capitale (e, nella fattispecie, degli interessi) come presupposto della effettuazione della ritenuta. Ha inteso invece riferirsi all'obbligo di pagare gli interessi, nel caso in esame presunto…In altre parole, il soggetto è obbligato ad effettuare la ritenuta sui redditi di capitale che è obbligato a corrispondere, indipendentemente dalla materiale erogazione agli aventi diritto. Se così non fosse, poiché la materiale corresponsione è rimessa alla discrezionalità ed agli accordi delle parti del rapporto negoziale, sarebbe nella sostanza affidata a tali parti la "gestione" del presupposto dell'imposta, il che è sicuramente contrario alla ratio ispiratrice della normativa de qua. D'altro canto non sarebbe ragionevole porre una presunzione di fruttuosità sui versamenti effettuati dai soci alla società, per poi di fatto vanificarla prevedendo l'obbligo della ritenuta nel solo caso di materiale corresponsione degli interessi, tra l'altro di difficile accertamento sia nell'an che nel quando".
La sentenza 6257/2001, oltre e riprendere le argomentazioni appena evidenziate, pone l'attenzione sulla circostanza che l'articolo 42 del Tuir (articolo 45 nella formulazione vigente) prevede al comma 2 che "gli interessi si presumono percepiti nell'ammontare maturato nel periodo d'imposta", giustificando l'assimilazione del termine "presunto" a quello "percepito".
Per completezza, si segnala un diverso orientamento della Cassazione, anche se minoritario e piuttosto datato; si fa riferimento, in particolare, alla sentenza 13153/1995, secondo cui i sostituti d'imposta sono obbligati a operare la ritenuta d'acconto sugli interessi di capitali dati a mutuo, ai sensi dell'articolo 26, ultimo comma, del Dpr 600/1973, solo quando il relativo importo sia stato effettivamente corrisposto al mutuante, e non anche nella ipotesi in cui il diritto agli interessi sia solo presunto (con salvezza della prova contraria), non potendosi desumere dalla norma sostanziale contenuta nel Tuir (all'epoca dei fatti corrispondente al Dpr 597/1973), della quale è destinatario il mutuante, la previsione dell'obbligo del mutuatario di operare, quale sostituto d'imposta, la ritenuta d'acconto anche sul reddito presunto ma non corrisposto.
Fonte: Fisco oggi autore Marcello Chiorazzi

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